Beati gli inquieti
“Casa delle farfalle” è il nome della struttura psichiatrica a cui Antonio, ricercatore universitario, si rivolge. Per raccontare la follia devi osservarla da vicino, conoscerla, abitarla. Prende accordi con la direttrice, si finge un paziente. Scopre le storie delle persone che vi abitano, le loro ossessioni, le paure, i loro desideri. I matti dicono sempre la verità, sono uomini liberi. Conoscerà Marta, Cecilia, Angelo, Carlo e Simone; ma sarà costretto a conoscere anche se stesso, più a fondo di quanto abbia mai fatto prima. Redaelli sceglie con cura le parole, la sua scrittura sa di immediatezza e poesia. Indaga senza filtri la natura umana portando alla luce i suoi lati più insoliti eppure più delicati, e rivela, anche se solo per un attimo, la verità tutta intera.
«Molte sono le maschere della follia. Se vogliamo raccontarla, dobbiamo indossarne una (o più di una) anche noi. È quanto fa, apparentemente a scopo di studio, l’io narrante di Beati gli inquieti, ospite volontario della Casa delle farfalle, una clinica psichiatrica. Ma via via che la florida polifonia della costruzione narrativa dà voce alle fantasie e alle rimostranze, alle paranoie e ai sogni dei cosiddetti “matti”, la distanza tra ragione e follia sfuma e quest’ultima si trasforma in una implacabile lente d’ingrandimento puntata sul senso (o il nonsenso) dell’esistenza umana e della realtà stessa. In questo romanzo sorprendente, che dal rigagnolo spazia alla Via Lattea, non c’è però nulla di nichilistico. Stefano Redaelli sa che il battito d’ali di una farfalla a Tokyo può provocare un uragano a San Francisco; ma l’apocalisse indotta da questo inquietante “effetto domino” ha il sapore originario di una rivelazione, struggente e salvifica insieme, che riguarda tutti noi.» (Roberto Barbolini)