15 Dicembre 2022

Strennette 3

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Gli ultimi 5 consigli di lettura del 2022. E, in fondo, consigli per regali piccini di prezzo ma di grande sostanza.
Maria José Ferrada, La casa sul cartello, Edicola Edicciones. Traduzione di Marta Rota Núñez.

Il fatto è che c’era stato un tempo in cui i senza casa eravamo noi. Un tempo in cui io non ero ancora nato, ma mia madre sì. E quindi sapeva perfettamente di che cosa parlava, perché anche lei (insieme a Paulina, che però non contava perché già all’epoca non capiva nulla) era approdata lì. Stanca, sporca e con i piedi coperti di vesciche, camminando accanto agli altri. Perché in quello schifo di paese in cui abitavano non c’era né lavoro né cibo né altro, e così se n’erano dovuti andare. Andare, il più lontano possibile, per non venire prosciugati fino a sparire nel nulla.

Stanco del suo lavoro come operaio in una fabbrica di PVC, Ramón sale su una enorme insegna della Coca-Cola e decide di restare a vivere lì. È stato assunto come custode del cartello, per evitare che qualcuno rubi i riflettori, e al suo capo non importa che rimanga sul luogo di lavoro ventiquattro ore al giorno, sette giorni su sette. In quel nido fatiscente, Ramón si sente al riparo dall’assordante “rumore del mondo”. Gli unici a fargli visita sono la compagna Paulina e il nipote Miguel – un ragazzino di undici anni, sensibile e sognatore, voce narrante del romanzo – mentre gli abitanti delle palazzine circostanti mormorano che Ramón sia diventato stupido o pazzo. L’arrivo di un gruppo di senzatetto non fa altro che aumentare il disagio dei vicini, che avvertono quanto sia precario l’ordine costruito in anni di fatiche e meschinità. La tragica scomparsa di un bambino delle palazzine trasforma infine la tensione in una cieca esplosione di rabbia. Unendo linguaggio poetico, critica sociale e tenera ironia, La casa sul cartello è un invito luminoso e commovente a sollevare il nostro sguardo, liberarci da ogni ipocrisia e trasformarci in uomini-uccello, donne-pesce e bambini-lupo, per trovare finalmente il nostro posto nel mondo.

Djaimilia Pereira de Almeida, Questi capelli, La nuova Frontiera. Traduzione di Giorgio De Marchis e Marta Silvetti.

Avevo i capelli corti e mi trovavo in casa il giorno in cui mi svegliai con una nostalgia di me, ma una nostalgia di qualcuno che non ero mai stata, di due o tre strade di Luanda, di uno stereotipo: nostalgia, dio mio, di una caricatura della persona che avrei potuto essere, un esotismo. A proposito di questa Mila che non esiste, la persona che sono diventata ha l’immaginazione oscurata da un’esasperante ignoranza dell’Africa. Da dove mi trovo, questa nostalgia non può essere colmata da nessun tipo di ritorno. Dove potrei andare? A cercarmi dove?

A raccontare Questi capelli è Gianni Montieri, in una bella recensione comparsa su minimaetmoralia: Mila ha tre anni quando arriva a Lisbona, suo padre è portoghese, sua madre è angolana. L’autrice scrive di un viaggio spettinato, con la bimba aggrappata a una scatola di biscotti. Quello che conosce delle sue origini è legato ai nonni, ai loro racconti, ricordi e a qualche fotografia, o minuscoli oggetti. Mila (la nostra Djaimilia) usa i ricordi per quello che sono, veri solo in parte, superfici piene di buche, di errori, di mancanze. Pereira de Almeida scrive un romanzo postcoloniale, una geografia politica e affettiva, che va dalle cucine alle strade di Lisbona prima della gentrificazione, dagli album di famiglia alle questioni razziali, dai sentimenti di appartenenza alla voglia di staccarsi e dirsi di nessuno. Mila è alla ricerca della sua identità, ma indaga il complesso meccanismo della memoria e dei vari procedimenti di scrittura, attraverso la trasposizione dei pensieri sui fogli di carta. Appartenere o non appartenere? Cosa significa identità? L’autrice è portoghese o angolana? O entrambe le cose? O nessuna delle due? Pereira de Almeida insiste nel cercare un equilibrio tra le due cose, perché se si è figli di due culture si sta in bilico, ci si muove su un confine, e non si è parte di nessun territorio per intero, ci si mostra e ci si nasconde, si ride dell’origine africana, si ride della vita europea, si piange commuovendosi di entrambe le cose. Capelli come se fossero tessuto, trama e perfino il telaio sul quale far scorrere il fiume del racconto. Capelli quali simbolo di appartenenza e di vergogna, come fatica e contentezza, come leggenda trasportata dall’Angola al Portogallo, capelli come cosa viva e lucente. Acconciature che colorano le risate, che sfumano nel pianto, che assecondano il vento e il corpo di una favola.

Bernard Quiriny, Ritratto del barone d’Handrax, L’Orma. Traduzione di Nicolò Petruzzella.

[…] Chi guarda ma non compra «è un tipo umano bizzarro. Si pianta di fronte alla vetrina di un negozio in cui ogni cosa appare desiderabile, ma non acquista nulla. Sa benissimo che non entrerà mai in possesso dell’oggetto contemplato, ma ciò non gli impedisce di continuare a fissarlo, quasi volesse impregnarsi della sua aura; da queste contemplazioni trae un piacere derivato e tuttavia reale, che rimpiazza – e al contempo nutre – il piacere originario e tuttavia virtuale, ovvero quello dell’acquisto.»

​Il barone d’Handrax colleziona case che nessuno vuole: le lascia così come sono, contenuto compreso, si accontenta di farle arieggiare e spolverare regolarmente. In ogni casa resta, come congelato, il tempo in cui è stata venduta; così, quando il barone vuol fare un lungo viaggio, trascorre qualche ora nel 1981 o nel 1965. Allo stesso modo, il barone fa brevi soggiorni in un collegio per ragazzi, per preservare la sua infanzia; organizza pasti con i sosia di grandi personaggi; durante una passeggiata seleziona gli elementi del paesaggio che non dovrebbero essere guardati; impara lingue che quasi nessuno parla. Il ritratto del barone d’Handrax è un romanzo inclassificabile in cui si svela il piccolo mondo stravagante ed esilarante di un personaggio indimenticabile. Il libro si gusta a morsi. I capitoli sono brevi, Il ritmo a volte è quello di una descrizione quasi documentaristica; altrove si leggono notizie vere che sembrano inventate. ​​Ci raccontano storie, ci fanno vedere che il mondo potrebbe essere meno volgare, ci parlano con un linguaggio raffinato e sciolto: ci riportano all’infanzia senza prenderci per bambini, come la migliore letteratura sa fare e come avviene nei libri di Quiriny, a partire da La biblioteca di Gould.

Dan Chaon, Sleepwalk, NN editore. Traduzione di Silvia Castoldi.

Devo restare pulito: è uno dei miei principali punti di forza. Ufficialmente, io non esisto. Non ho un indirizzo, un numero di previdenza sociale, né una storia di affidabilità creditizia. Non ho mai avuto un indirizzo mail, né una pagina Facebook, né un telefono con il wifi. Sono una tessera bianca dello Scrabble, e non è facile trovarne di questi tempi.

Un’America distopica, priva di leggi e governata da forze militari è la cornice in cui si muovono le disparate false identità di Will Bear, un cinquantenne che non ha mai pagato le tasse né costruito alcun legame sentimentale, inesistente per lo stato; il suo unico contatto reale, con quella che è ormai una (in)civiltà senza ordine né regole, è rappresentato da Experanza, amica d’infanzia, che segue e copre le sue gesta criminose. A bordo della Stella Polare, un vecchio camper dentro cui nasconde cesti zeppi di cellulari intestati a nomi fasulli, Will Bear scorrazza lungo gli Stati Uniti, in compagnia del pitbull flip, svolgendo lavori criminali per una misteriosa agenzia di servizi. Ed è durante uno di questi viaggi che riceve una chiamata da parte di una certa Cammie, che dice di essere sua figlia, nata dall’inseminazione artificiale, e di essere in pericolo. Dopo i sospetti iniziali, Will decide di crederle e, mosso da un improvviso affetto paterno, comincia a mettere in discussione non solo il suo presente da fuorilegge, ma anche il passato. Con la sua caratteristica miscela di inquietante realismo emotivo e intrighi frenetici, Chaon sposta via via l’attenzione dall’oscuro mondo criminale sotterraneo a un mondo distopico, cospiratorio e in declino. L’obiettivo si allarga per comprendere proteste, milizie private, scimmie umanoidi con problemi di gestione della rabbia, spazzini di rottami di aerei e droni minacciosi attrezzati per sembrare amichevoli pinguini.

Elizabeth Jane Howard, Quel tipo di ragazza, Fazi. Traduzione di Manuela Francescon.

Per farla breve, io non ho davvero idea di quello che dovrei fare. Vado dove mi porta la corrente. Ogni risorsa è sempre una responsabilità e un piacere. Io non sono capace di assumermi la responsabilità, e quanto al piacere, non so gestirlo. Non appartengo a nessuno e a nessun luogo, capisci? È da lì che parte la maggior parte delle persone per costruirsi una vita. Lasciando da parte artisti, monaci e dittatori, se uno non ha la vocazione, da dove comincia? Vorrei tanto un luogo sicuro dove poter sperimentare.

Nella campagna londinese vive una felice coppia di quarantenni senza figli. Anne e Edmund non hanno mai vissuto crisi: lei si dedica alla casa, al marito e alla gatta ariadne; lui lavora sodo per il futuro di entrambi e ha sempre mantenuto un rapporto cordiale con la sua matrigna, la ricchissima Clara. Sarà proprio quest’ultima a chiedere ad Edmund di ospitare la propria figlia, Arabella, una ventenne con carenze affettive, il cui unico interesse pare essere la moda. Quando Arabella, sensibile e sensuale, si frappone tra Anne e Edmund, il loro solidissimo rapporto inizia a sgretolarsi, così come l’illusione di poter diventare genitori a tempo per la giovane. Dall’acclamata autrice della saga dei cazalet, un romanzo che indaga e racconta la complessità dell’animo umano e delle relazioni con profondità e grande cura nello stile, coinvolgendo chi legge in una ridda di sensazioni ed emozioni, fino all’ultima pagina.

Prezzi piccini per libri di tutto rispetto
Per iniziare, il premio Nobel Annie Ernaux con Il ragazzo, € 8.
Sempre della casa editrice L’Orma, i “pacchetti“, sui 7-8 euro.
I bookblock, minisaggi pubblicati da Eris, € 6.
Infine i più economici e bellissimi librini della casa editrice Tetra, con autrici e autori italiani di grande talento: Antonio Moresco, Andrea Donaera, Romana Petri, Giorgia Tribuiani, Eduardo Savarese, Paolo Zardi, solo per dirne alcun*. Al prezzo assurdo di € 4.

 

LA LIBRAIA

Malvina Cagna ha aperto la Trebisonda nel 2011.

Prima di fare la libraia si è occupata di ricerca, progettazione e organizzazione dello sviluppo locale.
Dal 2000 al 2003 ha diretto il festival San Salvario Mon Amour.

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